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cose egli mostra a Virgilio, rispondendo a la dimanda fattagli da lui, la cagione che non solamente lo ritiene, ma che lo fa ritornare così a poco a poco al basso, dicendo:

Vedi la bestia, per cui io mi volsi,

cioè quella magra e affamata lupa, la quale gli porgeva tanto di gravezza, con la paura che usciva della sua vista, ch'ella lo ripigneva a poco a poco, dove non risplendevano e non facevano più lume i raggi del sole; da la quale, da poi ch'egli gli ebbe dimostrato la fierezza e la forza di quella, egli lo prega affettuosamente che lo aiuti, dicendo:

Aiutami da lei, famoso saggio,
Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi;

cioè induce paura e timore in tutte le mie potenze e sensitive e capaci di ragione, intendendo per le vene, le potenze sensitive; conciosia ch'elle sieno i vasi dove sta il sangue, il quale è cagione del sentire, onde si vede che tutte quelle parti sono prive di sangue, come sono l'ossa, i calli, l'unghie e simili, sono ancora similmente prive di senso, per il che non si sente dolore alcuno tagliandole; e per i polsi, che sono i vasi ne' quali sta lo spirito, le potenze spirituali e capaci di ragionare. E qui pone ultimamente il Poeta fine a le parole sue; nel quale parlare nota e avvertisce con gran diligenza il Landino, Dante avere fatta una orazione perfettissima in genere demonstrativo. Il fine del quale dicono i rettorici essere, persuadere una cosa come onesta e giusta, o dissuaderla come inonesta e ingiusta. Volendo adunque persuader Dante a Virgilio, ch'egli lo difendessi da quella lupa, fa prima il proemi, dove egli s'ingegna renderselo, col lodarlo, e attento e benevolo; di poi gli dimostra come tal cosa gli è facilissima, dicendogli che essendo stata tanto grande la sua dottrina, ch'ella ha fatto lume a tutti gli altri poeti, ella doverrà far ancor facilmente lume a lui in mostrargli la via, ch'egli abbia a tenere, a scampar da tnati pericoli; e ultimamente, come la causa sua è giusta, dicendo che avendo egli portato tanta reverenza e tanto amore a l'opere sue, ch'egli