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in tal ora esaudire i preghi che gli sono offerti, onde dice il Profeta: Mane exaudies vocem meam), prese il Poeta speranza di dovere non solamente vincere e scacciar da sè questa tentazione delle cose veneree, ma di aversi a servire di quelle bellezze temporali, con le quali essa tentazione cercava di ritirarlo da ’l cammino ch’egli aveva preso, per mezzo e per scala a salire a la contemplazione della bellezza divina. E volendo esprimere tal cosa stando nella metafora, usa il costume de’ cacciatori, i quali prendono solamente di quelle fiere ch’ei pigliono, che non sieno buone a mangiare, la pelle, e gettano via il restante. Così ancora egli, pensando di pigliare da tal tentazione solamente la bellezza, ch’ella usava per esca, per servirsene, come io ho detto, a salire per mezzo di quella in qualche cognizione delle cose divine, dice che queste due cose gli erano cagione di bene sperare

Di quella fiera la1 gaietta pelle;

cioè di avere a servirsi della vaga e leggiadra pelle (chè così significa questa voce gaietta, la quale dicono alcuni esser voce provenzale) a l’ufficio che io ho detto. Nientedimeno questa speranza non fu però tale, ch’ella lo facesse tanto forte che ei non temesse e non avesse paura d’un leone, che si gli fece ancora egli similmente incontro, dopo questa lonza; onde dice:

Ma non sì, che paura non mi desse
In vista che m'apparve d'un leone;

ponendo secondariamente, per lo appetito degli onori (il quale è tanto degno di lode ne gli uomini, quando egli è moderato, quanto egli è degno di biasimo, quando egli trapassa il termine della ragione; perchè egli diventa vizio, ed è allora chiamato da noi ambizione, o veramente superbia), con grandissima considerazione, il leone. Imperò che così come questo animale fa pochissima stima e disprezza quasi tutti gli altri animali, il superbo disprezza ancora egli tanto gl’inferiori a sè, e porta tanta invidia a chi gli è superiore, ch’egli usa dire ch’egli

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  1. Cr. alla.