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d’Acheronte, cioè della ignoranza e dello appetito disordinato, che fanno diventare gli uomini amanti e furiosi; chiamate da loro Aletto, Tesifone e Megera. Conciosia che Aletto non significhi altro, che una cosa sempre ria e nocevole a’ mortali; e questo è lo stimolo della carne, il quale molesta del continovo l’uomo; Tesifone significhi punizione e crudeltà; e questa è la avarizia, la quale rode e molesta di tal sorte i petti umani, che ella gli fa crudelissimi e rapacissimi: e Megera significhi invidiare e aver dolore degli altrui beni e degli altrui onori, come hanno sempre gli ambiziosi e i superbi, quando ei veggono onorare più altri che loro. I quali affetti davano ancor tanto più noia e molestia al Poeta nostro, quanto egli era cristiano, e segnato in fronte del carattere di figliuolo adottivo di Dio. Imperò che se bene ei posson molto universalmente in ciascuno uomo, per essere seminati e fondati nella natura e nella parte sensitiva nostra, e’ son molto più molesti e assaltano molto più i cristiani, che gli altri. E questo ne avviene, perchè cercando continovamente il demonio nostro avversario, per la invidia ch’egli ci porta dell’avere noi a succedere in quel luogo onde fu cacciato egli, di divorarci a guisa di leone rugiente (come scrive Pietro Apostolo), usa sempre ne’ suoi primi assalti, come armi sue più potenti e che offendon più, questi tre mezzi. La qual cosa è stata scritta per opera dello Spirito Santo, in conforto e ammaestramento nostro, da Davit profeta ne’ suoi salmi; figurata nel terzo libro de’ Re; e messa in atto da esso nostro inimico, come si legge nel sacro Evangelio, nella persona propria di Cristo salvator nostro. Perciò che domandando il Profeta, nel salmo suo ventitreesimo, chi sarebbe quello che ascenderebbe al monte santo del Signore, o starebbe nel luogo santo suo, risponde: Innocens manibus, cioè chi arà le mani sue in tal modo innocenti e giuste, che ei non le imbratterà nelle ricchezze e nella roba del prossimo suo; et mundo corde, cioè chi arà netto e mondo il cuore e l’animo suo dai desiderii carnali; et qui non iuravit in dolo proximo suo, togliendogli quegli onori che si gli convengono, attribuendogli per superbia e ambizione a sè stesso. E ne’ libri de’ Re si legge, che volendo salire Elia al monte di Dio, Oreb,