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opinioni contrari dirittamente al lume della fede, cominciò a poco a poco a lasciarsi svolgere e tirare al tutto nella lor sentenzia da quelle; sì per esser quelle molto più secondo il discorso naturale de l’uomo, che non sono le cose d’essa fede; e sì per essere il costume de’ giovani come scrive il Filosofo nella Rettorica, di credere con facilità, e massivamente quelle cose, che son secondo il sapere e l’ingegno loro, e che mostran che non sieno altre cose, che quelle che possono sapere ed intendere ancora eglino, come qualsivoglia altro uomo e più vecchio e più esperto di loro; per essere ancor similmente costume de’ giovani sopportare molto mal volentieri d’esser superati e vinti nelle cose che meritano e onore e lode. E ciò gli avvenne perchè, non avendo egli ancor per rispetto dell’età perfetto l’uso della ragione, e molto manco quel della esperienza, non poteva conoscere quanti facilmente errin gli uomini nelle opinioni e nelle operazioni loro; per il che egli entrò, come ei mostra, senza accorgersene nel laberinto1 delle varie e diverse opinioni de’ savi del mondo, per il quale egli camminò insino a la metà della vita sua; nel qual tempo, cominciando egli e per il valore della ragione, divenuta in lui perfetta, e per la forza della esperienza a considerar tal cosa, egli s’accorse d’essere nelle confusione; che volendo manifestare sotto velame poetico, egli assomiglia, come voi vedete, a una selva oscura, salvati e tanto forte e aspra, ch’egli si gli rinnovava, qualcunche volta ei se ne ricordava, la paura di quella nella fantasia e nella cogitativa, e ch’era tanto amara, che la morte è poco più amara di lei. E volendo dipoi mostrar come egli era eintrato in essa, e smarrita la diritta strada senza accorgersene (onde ei non sapeva ridire il modo), egli usa questo mezzo, e piglia questo esempio del sonno; del quale non credo io, come io dissi di sopra, ch’ei potesse trovare nè il più accomodato nè il più approposito. Imperochè, come chi dorme non conosce e non sente cosa alcuna, il che è l’operazion propria degli animali; onde non sa ridir, da poi ch’egli è desto, nulla di quel che gli sia avvenuto mentre

  1. Ediz. nell’aberinto.