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lettera terza 27

Feréo si ostina nella sua ignoranza; Alceste è per lui più enimmatica della Sfinge. E d'uopo in fine che precisamente gli dica: Son io.

Rileggete, ma subito, subito, sig. Guill. . . la scena seconda dell’Alceste, e poi fate stampare una solenne ritrattazione di quest'accusa, ed inviatela gratis a tutti quelli che avran letto il N. 123 del Giornal italiano. È questa, una spesa, lo confesso, ma conviene sacrificar tutto per non aver rimorsi. Il vecchio Feréo sta ascoltando Alceste, ed i cenni che fa questa della vittima sostituita ad Adméto, non precedono il son io che di dieci versi, che si pronunziano in pochi minuti secondi. Feréo è vecchio, e quasi fuori di sè per l'inaspettata nuova della ricuperata salute del figlio. Non merita egli scusa se non penetra subito che la vittima sostituita è Alceste? Perchè tanta impazienza, signor Guill. . .? Il tener sospesa l'attenzione è non solo un artifizio tragico, ma è una bella copia della natura. Le nuove spiacevoli particolarmente si dicono più tardi che si può.

Questa dichiarazione sorprende Feréo