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Giacendo sul suo letto di martirio, il ragazzo che, dopo 8 assalti alla baionetta, doveva struggersi oscuramente, di tifo, all’Ospedale, richiamava spesso quell’affetto paterno, nato davanti alla morte, come il segno più prezioso del proprio valore. «Mamma hai visto la morte del mio Maggiore? Mi voleva tanto bene! Mi voleva sempre vicino. Diceva: Stai con me, stai con me, Lepri».
Era partito, sottotenente, da Livorno, il 25 Agosto ’15, col presentimento di accomiatarsi dalla vita. Quelle ultime feste girava accorato le passeggiate per accattare un supremo sguardo di addio femminile. Nel diario saluta tutte le incognite che han fermato l’occhio su lui; saluto che va all’amore dei venti anni, così duro a rinunciare.
«Vi ricorderete del tenentino biondo e magro? Chissà? Tutto passa e passerà l’ufficialetto, ma io non vi dimenticherò mai, perchè mi rammenterete la giovinezza, la primavera, i più bei giorni della mia povera vita. Era destinato: dobbiamo dare in olocausto alla Patria tutto quello che abbiamo di più caro, vita, affetti, tutto; e lo daremo con tutta la baldanza, con tutta l’energia dei nostri vent’anni. Viva l’Italia».
Tre giorni dopo è nelle trincee più infernali. Su undici ufficiali partiti di retrovia per raggiunger la prima linea, arrivano lassù in due soli.
Ma noi non lo avremmo mai saputo, se avessimo cercato informazioni sulle lettere ai genitori.
Per questo tenero figliolo i genitori van tenuti tranquilli. Debbono sapere soltanto che al fronte si mangia bene «braciole con patate fresche, spinaci, caffè molto buono». Che i soldati «son bravi ragazzi»; che «c’è una familiarità tra ufficiali e soldati che fa molto piacere», che «gli austriaci scappano e si va avanti bene».
28 Agosto ’15. «Gli austriaci sparano sempre notte e giorno, ma noi non abbiamo nessuna paura e si va sempre avanti». «Questi austriaci hanno una paura matta della baionetta; in trincea fanno un fuoco indiavolato: quando poi arriviamo là, alzano le