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dans venise la rouge 69


di grazia che, giammai troverà in altro paese dell’universo: e, forse, alcuni di essi o molti, o tutti, vennero anche a dimandare la soavità fluente e suadente di tutte le cose che agiscono sui sensi, le linee, i colori, le tinte, le voci, tutta la vita. E io sono uno di questi stranieri: e sono qui, immersa in una lunga immobilità, come se vi stessi da un tempo immemorabile, e questa immobilità fosse la mia guarigione e la mia salute, come se questa immobilità si dovesse, ancora, prolungare per un tempo infinito, sanandomi da tutti i miei orrendi mali, rifacendo, interiormente, la vita dei miei nervi, delle mie fibre, versando un balsamo misterioso e possente nel mio sangue riarso e consumato, versando nel mio cuore esulcerato un filtro indescrivibilmente benefico. Io sono uno straniero, come questi altri: io non li conosco: essi non mi conoscono: essi hanno sofferto, forse, come me, per obbedire a un impulso di creazione, in qualche cosa che sia arte, scienza, politica, qualche cosa di spirituale e di vibrante: io non voglio sapere la loro storia: essi non vogliono sapere la mia: