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lettere d’una viaggiatrice |
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nale, nelle chiese sonore e deserte, si può evocare, fremente, innanzi a sè, il primissimo idillio di Beatrice e di Dante, quello che unì, per sempre, nel tempo, in un casto nodo, la fede e l’amore, quello che dette, per sempre, all’amore italiano, questo carattere religioso che mai più perderà; in un sogno, levando gli occhi a un’antica finestra di un palazzo ignoto, in una ignota strada, si può rivedere la pallida figura di Colei, della Ignota che ebbe compassione di Dante dolente, e che egli amò, per la sua pietà, lasciando allo amore, in eredità, per sempre, questa radice, così salda, così invincibile, la pietà! Tutto in un sogno, le figure più accentuate di passione, di dolore, di amore, di estasi; tutte in un sogno, le forme potenti di un pensiero grande, tramandato d’uomo in uomo, vittorioso o vinto, di avvenimento in avvenimento. Ma, in verità, il sogno è breve; di un colpo, la visione scompare; di un colpo, voi vi ritrovate freddo, arido, vuoto, in una strada di Firenze, innanzi alle lente acque del suo fiume, innanzi al verone di un edifizio, sotto gli archi di un portico; nulla più ferve, nulla più freme, nulla più palpita,