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40 lettere d’una viaggiatrice

eleganti, più ricchi. Lentamente, ma sicuramente, Roma muore. Ai primi di luglio, già il mondo politico si agita rumorosamente, per andarsene: e tanto fa, che il Parlamento si chiude, nella Camera Alta e in quella dei Comuni. Tutti costoro fuggono. Dopo due giorni e sempre prima del dieci luglio parte il Sovrano con la famiglia e la Corte; partono dame e gentiluomini; parte tutto il mondo diplomatico: è una piegatura di tende rapidissima, quasi fulminea, ognuno se ne va, con una furia gioconda: e ai quindici di luglio, Roma è la Città Morta. Ah che spettacolo singolare e pesante e triste, questa città cui l’Italia non ha saputo, non ha voluto, non ha potuto togliere il suo carattere di maestoso albergo d’inverno e di primavera, in cui, per una dimora inquieta e frettolosa, l’Italia resta sette mesi dell’anno, con un senso di disagio, di noia, di incertezza che si riflette, in ogni atto, albergo bello e solenne in cui l’Italia mette tutto un mondo provvisorio e temporaneo, di tutte le burocrazie, dalla diplomatica alla militare, una enorme burocrazia che ondeggia, da Torino a Palermo, fermandosi, ogni tanto, a Roma,