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mayer, con le signore che avean gittato delle pellicce sui loro vestiti di merletto bianco e nero, e pure tremavano di freddo, coi giovinotti che avevano appena osato di sollevare il bavero delle loro giacchette, e che ingollavano dei grogs bollenti, per mettersi un po’ di caldo in corpo, con certe faccie pallide di donne, di uomini che tossicchiavano e mangiucchiavano pasticche di tutte le catramine e di tutte le codeine del mondo, con noi stessi, giunti dalla soave, dalla tiepida Nizza nelle più molli e più leggiere toilettes da uomo e da donna, tutta la nostra coterie, senza neppure l’ombra di una pelliccia, senza nulla di caldo, infine, poiché è o non è, Cannes, il paese, talmente tiepido, che i tisici vi vanno a guarire? Ognuno di noi, col naso rosso curvato sul the di Rumpelmayer, non osando più uscire da quel caffè, pensava che, probabilmente, avrebbe fornito qualche personaggio di più, fra qualche giorno, alla falange dei tisici di Cannes!