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150 lettere d’una viaggiatrice

raggi scintillanti delle biciclette, fuggendo a suon di tromba sulle cento vetture automobili, passando al trotto dei bei cavalli: invano. Il viaggiatore in un ebetismo profondo, invoca solo la provvidenziale stanza, e l’oscurità e il silenzio, e la posizione orizzontale e gli occhi chiusi e l’oblio del paese donde partì e l’ignoranza del paese dove arrivò; egli si affanna a introdursi nel suo albergo, a salire nel suo ascensore, a penetrare in una stanza qualsiasi, quella a lui destinata, a immergersi in quell’ombra e in quella immobilità, che guariscono da ogni fatica. Ma, di già, nella strada, una bimba gli ha offerto un grosso fascio di violette, per quattro soldi: ma già nell’atrio del suo albergo egli ha incontrato delle donne bionde, vestite di bianco, che portavano viole nelle mani e sul petto: ma già, nello stesso ascensore, una vecchia signora, un vecchio signore, risalgono, portando anch’essi delle violette: il penetrante, fresco, giovenile profumo, già ondeggiante nell’aria, all’entrare della stazione, è più forte, più insistente, nelle strade, nelle case. Chiudete le imposte, fate l’ombra,