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in una volontaria soggezione; inseguirono i fuggitivi coi mastini, e per giustificarsi dinanzi alla propria coscienza, negarono alle loro vittime il santo carattere d’uomo.

Indarno Colombo, maledetto dagli Indiani come oppressore, dai coloni come ciurmadore, tornò in Ispagna supplicando in abito da penitente, che gli si concedesse tempo e soccorso. Ognuno era impaziente ed incredulo. La pietosa Isabella gli chiedeva conto degli straziati Indiani; il Re lo pressava a restituire le spese anticipate nelle inutili spedizioni; la Spagna gridava vendetta al sangue de’ suoi brillanti Hidalghi morti zappando ad Haiti; niuno più voleva seguirlo, talchè ei dovè chiedere in grazia, che gli si concedesse d’arrolare i malfattori. A questo punto la mente di Colombo si turba, la serenità e la fiducia lo abbandonano; egli si irrita contro il destino, e se lo rende per ciò stesso più crudele. Le allucinazioni consolano e travìano la sua grand’anima inebbriata da tante amarezze; e mentre egli toccato il continente americano, sogna d’aver trovata la via al paradiso terrestre, la sua colonia è dilaniata dall’anarchia. Il disordine che la presenza dell’ammiraglio avrebbe dovuto frenare, è reso più insanabile per l’infernale natura degli uomini, che egli avea tratti incautamente dalle infami carceri, sperando di tramutarli in eroi. I destini precipitano: il Bodabilla, abbietto cortigiano, viene a liberarlo dall’ignobile lotta. Colombo in catene ricupera la sua pace e la sua grandezza: egli riposa con sublime mestizia nella sua caduta, non accusando, non difendendosi, come uomo che non si curi di vincere il tristo giuoco della vita; e a quelli che per compassione vorrebbero alleggerirlo dei ceppi: No, risponde, no: essi mi stanno bene; sono il premio de’ miei servigi, sono parte della mia corona; e verranno meco nel sepolcro.