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innumerabili; un ciclo incantevole; primavera perpetua; vegetazione oltremodo lussureggiante; indizi d’oro e d’aromi, popoli disarmati, ospitali e mansueti. Perciò egli torna in Europa intuonando un inno di gloria. — «Questa è veramente grande e mirabil cosa, dic’egli — ed io volentieri reco le sue parole, poichè Colombo come Napoleone ebbe il dono del linguaggio poetico — quest’è grande e mirabil cosa, nè punto conveniente ai nostri meriti, ma sibbene alla santa fede cristiana.... Il Re e la Regina, e i loro felicissimi regni, e tutta cristianità, rendano grazie al nostro Signore e Salvatore per sì gran vittoria. Si celebrino processioni, e solenni officii divini, e di frondi si velino i festeggianti delubri. Esulti Cristo in terra, come esulta ne’ cieli, poichè si salveranno tante anime d’interi popoli che andavano perdute. E noi rallegriamoci e per l’esaltazione della nostra fede e per la prosperità delle cose temporali, di cui non la Spagna soltanto, ma tutti i popoli cristiani, e tutti i venturi secoli avranno parte».

E l’Europa lo accolse estatica di gioia; il popolo lo porta in trionfo da Cadice a Barcellona; i re affidano un potere sovrano alle sue mani fortunate; i dotti sentono che l’antichità è vinta, che nuovi tempi sono venuti. Nocchieri, missionarii, cavalieri, il fiore della corte e dell’esercito, fanno ressa per seguire il grande ammiraglio nel secondo viaggio; bisogna contenere, bisogna reprimere l’ardor generale.

Ma in ogni troppo viva speranza è pur sempre nascoso il germe fatale del disinganno. Nella seconda navigazione ricominciano le dure prove. Colombo dove aveva lasciata la prima colonia europea a raccoglier oro e a diffondere il cristianesimo, non trova che un mucchio di ruine insanguinate. Già i selvaggi hanno imparato che i loro ospiti celesti sono mortali; hanno