per sì lungo tragitto se le passavano di mano in mano. I rozzi verseggiatori di quei tempi ci dicono che a Pisa e ad Amalfi conoscevansi di fama e di presenza i popoli dell’Asia centrale e gli Indi che avevano sì antico grido di sapienza e di ricchezze. Nel tumulto delle crociate si piantarono gli Italiani negli scali di levante e vi convissero con quegli Arabi che già da due secoli avevano allargata la loro prodigiosa potenza dalle Africane costiere di Sofala alla valle dell’Indo, e si erano sparsi, mercatanti o missionarii, da Madagascar a Canton su tutte quasi le rive dell’Oceano indiano e dell’Arcipelago orientale. — Per questo mezzo molte notizie geografiche ci dovettero pervenire insieme colle prime confuse cognizioni sulle cifre algebriche, sulla polvere e sulla stampa, mirabili strumenti del pensiero operoso, che giacevano inutili in mano alla frivola gravità delle autocrazie e delle teocrazie asiatiche. Due strade teneva il commercio delle Indie; quella di terra per l’Oxo, il Caspio ed il Mar Nero; quella di mare per l’Egitto ed il Pelago Indiano, o per la Soria ed il golfo Persico. Prevaleva or l’una or l’altra di queste strade, secondochè o sinistrava l’anarchia arabica o scomponevasi la vasta unità dell’impero Mingolico cadevano sotto la tutela or dei Veneti or dei Genovesi le decrepite provincie del Greco impero. Da ciò le guerre secolari delle due maggiori repubbliche Italiane che si contendevano il monopolio di quei commerci. Fra esse più tardi entrò terza Fiorenza, in cui le vivaci industrie avevano accumulati capitali e che, dopo l’acquisto di Pisa, volgendo vasti pensieri di marittima prosperità, avviò faticosamente per l’America e la Persia una linea commerciale che forse spingevasi fino alla China. Mirabili viaggiatori ebbe l’Italia per cagion di commercio o di religione, in cui risplende energia di mente, di corpo e di vo-