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perchè in Italia maturarono gli elementi del pensiero e della forza, per cui fu grande Colombo.

Chi appena guardi le condizioni d’Italia nel XV secolo, sente che essa avea diritto di educare il vincitore della antichità, l’uomo che disserrando nuovi spazii e nuovi tempi, dissipasse affatto il sonnambolismo del medio evo e ravviasse il pensiero europeo alla poesia ed alla sperienza della natura esteriore. Il XV secolo, così poco noto, è quello appunto in cui si svolsero e si bilanciarono tutte le forze intellettuali dell’Italia; lotta confusa, vorticosa e pur troppo mortale. Allora l’italiano, in mezzo alle inutili sventure ed alle inutili vittorie di tutte le fazioni, imparò a far conto, più che d’ogni altra cosa, della propria energia personale: germe funesto d’egoismo, ma scuola altresì di volontà indomabili e di nature eroiche. E mentre altrove gli uomini erano o sorretti o stritolati dalle gerarchie feudali, solo l’Italiano di que’ tempi vedeva uscire dalla plebe i pontefici, dalla officina i magistrati; e mercanti e soldati di ventura conquistarsi coll’oro e colla spada le corone. Tutti i fatti, tutte le idee s’agitano allora in Italia vive, possenti, istigatrici d’ogni rea, come d’ogni nobile ambizione; il fervore religioso si alleava col poetico entusiasmo per la classica antichità, e nella stessa generazione si scontrava e mescevasi l’esperienza dei politici, dei mercanti, dei viaggiatori colle memorie e, diremo anche, colle fantasie dell’erudizione. Di che nasceva quella felice e robusta gioventù degli ingegni, i quali creavano, credendo pur tuttavia d’imitare e fabbricavano arditissime ipotesi, interpretando con inconscia libertà il mondo e la storia. Ed è singolare a dirsi come i due uomini, che fecero la più profonda rivoluzione delle idee, mutando l’aspetto della terra e del cielo, Colombo e Copernico, i quali ora, quasi divinità