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fecondino. Epperò, lasciate da un canto le narrazioni ricche di tante poetiche circostanze che aiuterebbero la più povera eloquenza, io toccherò prima la genesi della divinazione colombiana.


II.


Riviviamo, o signori, colla fantasia nell’anno 1470, quando Colombo, oscuro avventuriero di mare, veniva a Lisbona.

I Portoghesi, schiacciati tra il mar Atlantico e la Spagna, aveano da 60 anni intrapreso con magnanima pertinacia di conquistare l’impero dell’Oceano, tragittarsi, girando l’Africa, alle Indie, e tirare per tal modo a sé i commerci delle spezierie, che da quattro secoli stavano in mano degli Italiani. Avevano da principio sperato di trovare poc’oltre la spiaggia Mauritana il mare equatoriale, che, secondo i cosmografi antichi, spartiva le due zone temperate: e sostennero quella speranza, voltando faticosamente i tempestosi promontorii, che fanno irta quell’inospite riviera, finché s’accorsero che al di là della Guinea continuava terra dritto verso mezzodì, senza indizio d’alcun passaggio all’Oceano indiano. Onde sembra che per alcun tempo cadessero di animo. In questo appunto Colombo fu a Lisbona. Accasatosi colla figlia d’un navigatore italiano che avea tenuto il governo di Porto-Santo, una delle Canarie, spesso stanziò in quell’isola allora dell’estremo Occidente. Di là potè vedere e sperimentare come lunga e perigliosa riuscisse la navigazione rasente l’Africa: là in faccia all’Atlantico inesplorato pensò pel primo il semplicissimo pensiero che quelle vaste acque dovevano stendersi fino ad un’opposta sponda; forse fino alle Indie. Ammessa la sfericità della terra, nulla di più naturale. Le Indie e special-