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di cristoforo colombo | 103 |
nuove dell’Hojeda, ch’io pubblicai, fecero perdere la speranza, che egli venisse più.
Già da sei mesi io era presto a venirmene alle LL. AA. con le buone novelle dell’oro; e per sottrarmi dal governare gente dissoluta, piena di acciacchi e di malizia, che non teme nè Dio, nè il suo Re, nè la Regina.
Avrei terminato di pagar la gente con secento mila; e a quest’oggetto aveva quattro milioni di decime, e più, senza il terzo dell’oro.
Innanzi alla mia partenza supplicai tante volle le Altezze Loro, che spedissero qui persona incaricata dell’amministrazione della giustizia; e poichè trovai sollevato l’Alcalde, rinnovai le suppliche per avere o alcun poco di gente, o almeno un lor familiare con lettere; perchè tale si è la mia fama, che quantunque io facessi Chiese e Spedali, sarebber sempre chiamate spelonche da ladri.
Pur alla fine diedero un provvedimento; e fu contrario a quello che si richiedeva a tal negozio. In buon’ora sia; giacchè così lor piacque.
Io stetti colà due anni, senza poter guadagnare una provvigione di fanega, nè per me, nè per coloro che colà erano, e costui si portò via una cassa piena. Dio sa, se tutto finirà in suo servizio. Già sul bel principio si danno esenzioni per venti anni, che è l’età d’un uomo; e la raccolta dell’oro è tale, che persona vi fu, che ne diede cinque marchi in quattro ore: di che dirò appresso più largamente.
Avendo io ricevuto maggior danno dal misdire delle persone, che vantaggio del lungo servire e conservar l’azienda e il dominio delle Loro Altezze, sarebbe una carità, se piacesse Loro di far esaminare molti popolari di quelli che sanno le mie fatiche: io sarei restituito al