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D’ISABELLA ANDREINI. 27

egli ha sofferti mille, e mille tormenti, mi parrebbe, che la mia doglia s’alleggierisse in parte; ma sapend’io, che vi siete donata ad uno, che non v’ama, ad uno, che non conosce le vostre virtù, ad uno, che non v’ha fatt’alcuna sorte di servitù dovuta, e quel ch’è peggio, ad uno, che poco, anzi nulla vi stima, non sò, come furioso non faccia cose tanto memorabili, quanto sconcie. Questi da voi novellamente eletto, mettendovi in vilissima stima, si ride, di quelle affettuose parole, che voi li mandate, mostra non sò che anello, che gli havete donato, hà (forse legato in oro, con adornamento di gioie) il vostro ritratto in uno scatolino, e dice, che havete il suo. Per conchiudere quant’ei parla de’ vostri particolari, termina il ragionamento, con questo, che voi siete fieramente presa del suo amore, e ch’egli per pietà vien’alcuna volta à vedervi; hora giudicate voi, con qual indicibil affanno sento sì fatte cose. Hor com’è possibile, che voi, che tanto giuditiosa siete, habbiate fatta così trista elettione? e com’è possibile ancora, che mi fosse la vostra benignità così contraria, che voi senza mia colpa, mi faceste così gran torto? ò Fede dove ti trovi tu? Ahi, che vinto dal furore, che m’agita abborro qual si voglia cosa, fuor, che voi, che più? odio me stesso, onde non è maraviglia, se voi non m’amate, poich’io stesso non m’amo; ma io ben m’amerei, quando voi di nuovo m’amaste; e dubio non hà, che voi m’amerete, ogni volta, che vorrete ridurvi in memoria l’antico mio amore, e la mia leal servitù. S’avvivi dunque in voi di nuovo (bellissima Donna)


e l’amor