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D’ISABELLA ANDREINI. 9

Del dispregio de gli amanti.


S

APEND’IO, che se l’ira tosto non opera, ella uccide se stessa, mi giova di credere, che non havendo l’ira vostra ingiustisima operato sin qui contr’à me, che servidor vi son più d’ogn’altro fedele, sarà divenuta micidiale di se medesima, e tanto più ’l credo quanto sò, che l’ira ne gli animi nostri in breve tempo nasce, e ’n breve tempo muore. Deh Signora mia dovereste pur ricordarvi, che l’ira è peste de i cuori, e ch’è un veleno, che uccide la ragione: pur, se adirata vi piace, per maggiormente infuriarvi di ricorrer allo specchio, non vi sdegnate di ricorrer allo specchio verace del cuor mio, dove non alterata, nè fiera: ma bella, e humana, scolpita per man d’Amore, chiaramente potrete vedervi, ilche potrà discacciar affatto l’ingiusto affetto, & operar per avventura, ch’io torni nell’honorato mio seggio della gratia vostra; e così non volendo amarmi per me, m’amerete per voi, e per l’Artefice, che vi scolpì, che pur (come sapete) è non terreno; ma celeste, e trà celesti il più degno, il più temuto, e ’l più riverito. Ricordatevi, che l’ira oscura la virtù dell’animo, & imitate il valoroso Cesare, di cui si legge, c’havea per costume di non entrar mai in battaglia adirato. Alessandro col vitio dell’ira macchiò tutte le sue virtù, poiche avampando in essa, diede Lisimaco à i Leoni, passò il petto con una lancia à


C          Clito