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LETTERE

che per liberarsi da gli affanni non ci trovo altro rimedio, che ’l sopportargli patientemente. Lo sperar nel mondo felicità è infelicità, e nel mondo non è felice se non quegli, che muor in fasce. Mi scrivete, che dubitate questa sventura esser principio di maggior male, & io spero, che sarà fine di tutti i vostri dispiaceri, e benche non si possa questa vita infelice campar da sinistri avvenimenti, tuttavia il saper dell’uomo mitiga ogni amaritudine, e l’uso rende men noiose le cure del mondo, & è di necessità, poiche gli accidenti non s’accomodano alla volontà nostra, che noi ci accomodiamo à quelli, chi s’avezza à i travagli hà per riposo il travagliare, oltre di ciò dovreste ricordarvi, che l’huomo è essempio d’infermità, preda del Tempo, gioco della Fortuna, imagine di ruina, e bilancia d’invidia, il che potrebbe assicuravi quando consideraste, che niuna cosa può campare alcun vivente dalle avversità, da i travagli, e da i dolori, ancorch’egli fosse nell’Isola Taprobana dove c’è chi dice, che senza dolor si vive; dunque, se questo è vero, come creder dobbiamo, perche tanto affliggersi? essendo che chi nasce in questo Mondo, non dee d’altro esser certo, che di penar, e di morire: è cosa da poco savio à mio giuditio l’haver dolore di quelle cose, che non si possono fuggire, e quando la mestitia, e ’l pianto potessero alle turbolenze sottrarvi loderei la vostra melanconia, e le vostre lagrime, e vorrei non pur accompagnarvi di compassione; ma d’aiuto, e credetemi, che ’n virtù della nostra amicitia non cederei di mestitia, e di


pianto