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LETTERE

ria de’ venti è risospinto indietro. Più ch’io procuro di risanar le mie piaghe, più le sento far cupe, e mortali. La notte, che suole esser fida segretaria delle amorose cure de gli sfortunati amanti, mi s’è fatta nemica; e lo conosco in questo, che se alcuna volta chiudendo le humide luci, per alquanto sottrarmi à quelle pene, che sì m’affliggono, procura pietoso il sonno, con le sue dolci menzogne di piacevolmente ingannarmi, l’impaciente Amore ne’ suoi orrori scuotendomi tosto mi sveglia, perch’io pensi à miei dolori, i quali si raddoppiano vedendo riuscir vano l’effetto del grato vaneggiare. Così affliggendomi l’oscurità della notte, bramo che spunti la chiarezza del giorno, laqual arrivata non fà però le mie doglie minori, anzi l’accresce. Così m’è dura la notte, e ’ntolerabile il giorno. Così la notte non ha tante facelle, nè l’Alba tanti colori, quant’io soffro tormenti. Ma n’anderei in infinito, s’i’ volessi ad uno, ad uno narrarvi i miei tropp’aspri martiri, e manifestarvi le cocenti mie fiamme; e voi forse incredulo direste, che lieve è ’l mal di colui, che può dell’istesso male dolersi, e forse aggiungereste.

Chi può dir com’egli arde e ’n picciol foco.

E per ciò chiuse le fiamme nel cuore, e fatta la lingua di smalto viverommi ardendo, e tacendo.


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