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D’ISABELLA ANDREINI. 3

Dello Splendor della Luna.


I

O sperai (gentilissima Signora mia) che la passata notte dovesse con le sue tenebre, e col suo silentio favorir gli amorosi nostri furti; ma è seguito tutto al contrario, poich’ella era così lucida, e così chiara, che parea proprio, che solo per farci offesa gareggiasse di splendore col più sereno, e col più risplendente giorno. La Luna (come credo, che vedeste) era talmente serena, & ardevano così le stelle, che parea veramente, ch’esse più tosto fosser’atte à prestar lume al Sole, che haverlo in presto da lui, per laqual cosa erano le strade non meno frequentate dalla gente, di quello, che si sieno à mezo giorno, ond’io misero, benche celato ne’ panni, non poteva celarmi ad altrui, talch’egli era impossibile, ch’io mi conducessi al determinato luogo delle vostre contentezze senz’essere scoperto, & io, che molto più amo la riputation vostra, che la propria vita anzi elessi di perder le mie desiderate consolationi, che pregiudicar alla nostra honestà; dove che pieno d’amaritudine me ne ritornai al mio sconsolatissimo albergo, e maledicendo la nemica mia sorte, alla notte, & alla Luna rivolto così dissi ò crudelissma notte perche ti dimostri tanto contraria alla mia felicità? tu pur sei continuamente desiderata da gli amanti felici, poiche tu sola col tuo negro manto cuopri i lor dolcissimi, e fortunatissimi inganni, & hora da te stessa diversa ti mostri con


tanta