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D’ISABELLA ANDREINI. 135

vi bisognerebbe non conoscervi. Non v’ha alcuno, che vi conosca, che non v’ami. Maledetta sia pur la mia conoscenza, poich’ella costa così cara all’infiammato cuor mio: ma folle, perche maledico io la mia conoscenza, s’ella converte dolcemente in gioia ogni mia noia, & ogni mio amoroso tormento? s’Amor non mi perdona questo così grave fallo egli haverà grandissima ragione; ma, s’io mi pento d’esser pentito, non basta questo a farvi impetrar perdono? mi pento dunque e del pentimento, e del maledire, e giuro, che mentre haverò vita non rimarrò di servirvi, conoscend’io che le perdite nell’amarvi sono acquisti. Ben mi duole d’esser ridotto per amarvi à tale, ch’io non sò, s’i’ debba desiderar di vedervi, o nò, essendo che la presenza vostra m’arde, e l’assenza m’uccide. S’io voglio fuggir la morte bisogna, ch’io brami, e corra al martir dell’incendio, così dunque per tema di morire mi getto nel fuoco, talmente che la mutation del male mi serve per rimedio al male, e chiamo poi felice la mia sorte? stolto, ch’io sono, bisogna, bisogna al fine discior questi lacci, e romper in tutto queste amorose ritorte, tutto ch’esse meritino d’incatenar le anime più selvagge, perche bisogna pur ultimamente considerare, ch’è privo di giuditio colui, che potendo viver libero procura di languir in servitù. E forse così difficile il liberarsi dalla potenza d’Amore? Amore altro non è che un furor pazzo, ilquale subito finisce che l’huomo diventa savio. Non è pazzia la nostra, se in un fuoco imaginato ardiamo, sì che più non ardiamo in un reale? non è pazzia


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