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D’ISABELLA ANDREINI. | 129 |
sua incostanza punisci almeno la sua empietà; ma perche mi lamento io del Cielo, che non vi punisce quand’io non punisco questo mio cuore, che a danno mio, e vivo, e bello eternamente vi mantiene.
De i pensieri honesti di giovanetta da marito.
Erche il communicar ad altrui i propri affanni è una medicina della malinconia, non voglio, e non posso mancare (Signora mia cara) di communicarvi gli affanni miei. V. S. sà in quanto timore, e ’n quanta austerità di vita sono stata allevata da’ miei parenti; ch’i’ posso giurare di non haver mai saputo ciò, che sia stato riposo, o quiete nè d’animo, nè di corpo. Io a’ ceppi, alle catene sono stata sempre sottoposta, io sempre ho havuta la mia casa per prigione, io non ho mai potuto, come fan le altre giovani uscir di casa, neanche in dì solenne, io non ho mai potuto impetrare d’andar ad alcuna ricreatione, io non ho mai havuto sfoggio di panni, o di gioie, in somma io non hò mai havuto un minimo contento, e tutto recandomi in pacienza ho fatto vedere à chi potea comandarmi, che sempre il suo cenno m’è stato legge; hora ch’io son cresciuta in età, che ’l timore dovrebbe esser honore, amando giovane quelli, che temei fanciulla, sono sforzata à paventar più che mai la severità loro. O mia fiera sventura, hora ch’io dovrei respirare, vivo più oppressa. O Signora mia cara, hora che ’l padre, e la ma-
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