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D’ISABELLA ANDREINI. 128

ro, che mi foste cortese, e pietosa, poiche non sdegnaste di rasciugar le mie calde lagrime con le vostre candide mani, e sospiraste meco le mie lunghe miserie.


Simili.


C

HI tarda i vostri passi, chi frena i vostri pensieri, chi lusinga gli spiriti, chi rompe le promesse (ingratissimo giovane) siche conforme à quanto partendo giuraste, & à quanto partito scriveste, non ritorniate à colei, che sin à quest’hora non sò come non habbia sommersi nel proprio pianto i suoi dolorosi martiri? Tardate voi forse à venire discortese, & inhumano, che siete per trar il vostro diletto dalla mia pena? pensate voi, che l’amor, ch’io vi porto debba sempre ne i tormenti matenersi? & io misera penso, che quell’anima finta, che quel cuor pieno d’inganni, ch’altro non hà di stabile, e di proprio che l’infedeltà, debba muoversi à miei prieghi? ah, che troppo mi prometto facendomi à credere, che le mie parole, e le mie lagrime habbiano forza di richiamarlo sì ch’egli à me ne venga. Il perfido, che si fa ricco della moltitudine de’ miei dolori, procurerà più tosto d’accrescergli con la lontananza, che di scemargli col ritorno. In certa è la mia speranza, e certo il mio timore, vero il mio dubbio, e falsa la sua fede, con tutto ciò crudelissimo non posso (e pur conosco i vostri inganni) farmi accorta. Ahi,


che