Pagina:Lettere (Andreini).djvu/233


LETTERE

te d’altrui fortuna più che d’altrui merito guiderdone, io son dalla gelosia stato tormentato in modo, che non è possibile il dirlo, io con pacienza hò sofferto gli sdegni, l’ire, e le mutationi ingiustissime d’un’anima incostante, per cui m’hò sentito ardere, & agghiacciar il cuore in un punto, io dopò haver con un perfetto amore, con una lunga servitù, con mille sospiri, con mille preghi, e con mille lagrime ottenuta la donna desiderata, per sua instabilità l’hò perduta, e nel perderla hò provata una viva morte, e un tormentoso inferno, e finalmente hò sofferto quanto d’amaro è in amore, e ’n ogni modo (me dolente) non m’è dato di respirare, non che di goder libertà: ò mie vane speranze: ò miei folli pensieri: o me più sfortunato che mai, eccomi di nuovo caduto ne gli usati tormenti; ma che dich’io ne gli usati? poiche questi son tanto maggiori de i primi quant’è più cocente la fiamma del fumo. Io pensai (lasso) che quando Amore havesse voluto maggiormente contra me incrudelire, e ritrovar più fieri, e più aspri martiri, per affligermi, non havesse potuto farlo; ma hora m’avveggo quanto ingannato mi sia. Ah, che smisurato è l’ardore di que’ begli occhi, che novellamente m’infiamma. Ahi che quella mano, per mio mal troppo bella m’ha con dolor non più sentito trafitto il cuore, predati i sensi, e ’ncatenata la ragione, e per far la mia doglia più grave, dove Amor le altre volte mi fece come lui cieco, hora m’hà lasciato il veder libero, e senz’alcun impedimento, sol perche meglio i’ vegga le mie pene nel vostro merito, e nella mia


bassezza