scierà, e verrà à ritrovarvi, amando finalmente più il suo proprio seno, che ’l mio, & io privo della vostra, e dell’anima mia morrò. Ecco, che mentre io vivo son certo della vita vostra, ilche m’è di tanto contento, quanto m’è di dolore il vedermi da voi lontano. Oh quanto m’affligge tal lontananza, oh quanto mi duole il non veder quella mano, che sì dolcemente mi strinse il cuore. Fù così caro il laccio, ch’egli più non seppe, e più non volle, desiar libertate. Ohime quanto mi spiace il non veder que’ capegli, che con tanto mio diletto mi legarono. Oh quanto invidio quell’aura, che soave gli increspa, allhora che voi secondo l’uso della vostra Patria, per voi fortunatissima, state quasi Sole esposta al Sole. Quanto invidio quelle cose, che son illustrate dal celeste lume di quelle stelle, che m’infiammarono. Quanto invidio quel Cielo, che dal bel vostro volto è fatto sereno, e chiaro. Deh perche non m’è conceduto, sicome io sento à tutt’hore impiagarmi, di veder colei, che dolcemente m’impiaga? Hora conosco quante volte fuor del giusto mi dolsi d’Amore, delle stelle, e di voi mio bene. Quallhora ingiurioso guanto mi nascondeva lo schietto avorio della vostra mano, o fortunato velo cuopriva l’animata neve del vostro seno, tutto sdegnato i’ malediceva la sorte, che molto più favoriva il guanto, e’ ’l velo, che me vostro fedelissimo amante, e quand’io mi vedeva contra turbato il sereno del vostro viso, ancorch’ei non durasse più di quello, che sogliono durar le imagini, che forman le nubi nell’aria, nondimeno per così lie-