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D’ISABELLA ANDREINI. 91

teste vedere le mie calde lagrime, udir i miei profondi sospiri, saper le mie lunghe vigilie, e comprender in somma le amorose mie pene, lequali sono così possenti, che potrebbono destar pietà ne i freddi, & insensati marmi. Dicono molti, che tutti gli effetti, ritengono in loro della natura delle lor cagioni, & à me par falso, perche, se la cagione è bella, belli ancora (secondo questa opinione) dovrebbon’esser gli effetti: ma non è così, perche dalla vostra bellezza derivano i miei martiri, e pur la cagione è bella, e gli effetti son brutti; ma folle dove mi trasporta il mio tormento? e che falsi argomenti sono i miei? dalla bellezza vostra, nasce l’amor mio, e non i tormenti, dalla vostra crudeltà nascono le mie pene, dunque sarà vero, che gli effetti, riterranno della natura delle lor cagioni; ma voi ben mio contentar vi dovreste, di rimediar con la pietà à quel male, che dalla crudeltà vostra mi viene, considerando, che, se più mi lasciate senza ’l guiderdone della vostra gratia, mi converrà miseramente finir la vita. Forse direte, ch’io non merito così alta ricompensa, io il vi confesso: ma, se non merito io, merita almen la mia fede essend’ella senza pari in terra, come voi sola siete senza paragone al mondo: ma dubbito io, che voi non curiate nè la mia fede, nè l’amor mio. Ah discortese (siami lecito di dir tant’oltre) goderete voi sempre di farmi usar amaro pianto, senza speranza di dolce riso? vi sarà caro di vedermi eternamente cinto d’infelice timore senza mai porgermi occasione di modesto ardire? gioirete della mia mestitia,