Pagina:Lettere (Andreini).djvu/194


D’ISABELLA ANDREINI. 85

Habbiate di me pietà, ch’io mi rendo sicuro, che dopò l’havermi veduto infelicemente languire, mi trarrete di grembo alla miseria, facendomi provare amoroso contento; per laqual cosa spero di metter in oblio quanto di noioso, e di dispiacevole hò sofferto amando, e se pur n’havrò memoria, non mi sarà discara, ricordandomi, che i veri servi d’Amore, non possono gustar dolce, e felice vita, se prima non hanno provata amara, & infelice morte.


Simili.


S’

Io potessi ricever questo soave refrigerio, e questo dolce aiuto di sfogar l’anima dolente, raccontando à voi quella passione, ch’io desidero di celar à ciascun’altro, e se fosse possibile al Cielo istesso, io mi riputerei nell’infelicità felicissimo: ma per levarmi la nemica mia sorte, ogni speranza di poterlo fare, m’ha tolto il Sole di quei begli occhi, il qual può solo aprir il giorno à questi miei. Invano esce per me il Sole dell’Oriente, poiche i’ son fatto compagno dell’ombre, e de gli orrori, conoscendo, che ’l tenebroso cuor mio altro non brama: ma perche i’ non possa nè pur breve conforto ritrovar nelle tenebre, s’avvien, che dopò le amare lagrime sparse ne gli oscuri miei giorni, stanco da i martiri e dalle lunghe vigilie i’ chiuda alcuna volta i lumi nel profondo della notte, il negro figlio dell’ombra, il sogno per me infelicissimo, innanzi a gli occhi dolenti mi


T          figura