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LETTERE

ad ubbidir al cenno de’ bei vostri occhi. Io son il corpo, e voi siete l’anima, non hà dubbio, che ’l corpo è tenuto à far quello, che l’anima sua gli impone. Quanto più dunque vi piacerà d’impiegarmi ne’ vostri servigi, tanto più mi parerà di ricever dono di felicità, e tanto più mi vedrete pronto in essi, quanto più mi comanderete. Sarei ancor pronto à trarmi il cuore, per sacrificarvelo quand’io conoscessi, ch’egli fosse degna vittima della vostra bellezza: ma qual cuore sarà mai degno d’un tanto bene? qual esca potrà meritare sì nobil fiamma? qual Fenice sarà mai degna dello splendor di così chiaro Sole? Piacciavi Signora mia d’infonder in me (che ben potete farlo) tanto di valore, ch’io meriti di sacrificarvi il cuore, d’arder in sì bel fuoco, d’affissarmi in sì lucido Sole, d’incenerirmi à suoi raggi, e di rinascer dal cener mio, per consumarmi di nuovo in quell’amato lume.


Simili.


D

Ebb’io mia dolce nemica chiamarvi anima mia? certo nò; perch’è proprio dell’anima il dar vita, e voi mi date morte; ma se per voi respiro, come non vi chiamerò io datrice della mia vita? Orsù diciam pure, che per voi vivo, e muoio à guisa della Torcia, laquale s’è volta con la fiamma in giù, vien dalla cera morta, benche dalla cera ella habbia vita. Quallhora ver


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