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LETTERE

lo stame della mia vita, onde non possa finire, se non per mezo del colpo inevitabil di Morte, e qui finisco pregandovi ad haver cara quell’anima, che volontaria vi si rende è prigioniera, e serva.


Della pudicitia.


G

Randissimo è stato (dolcissimo Signor mio) il contento, c’ho ricevuto nel legger la vostra lettera; e se non fosse, ch’io non posso ancora, fermamente creder, che mi facciate tanta gratia, dubiterei di morire, per sovverchia allegrezza. Deh perche havete così lungo tempo tenuto il vostro amore, che dovea bearmi, sepolto sott’odiosa terra, non sò se dir mi debbia, o ritrosità, o di rispetto? era io appresso di voi in concetto dico sì forte, che poteste credere, ch’io bastassi à contrastar alla forza di quelle stelle, che sforzano tutti i cuori ad amarvi? o pur m’havevate per tanto sciocca, c’haveste pensiero, ch’io non fossi per apprezzare le vostre virtù? e se questo non era, era forse il credermi per così priva, di conoscimento, che poteste dubitare, ch’io non conoscessi il vostro merito? e finalmente mi vi descriveva l’opinione per così fredda, e per così priva d’amore, ch’io non dovessi arder per voi? e ch’io non dovessi amar giovine dotato di tante gratie? Signor mio, voi siete tale, che chi non v’ama ò non vive, ò non merita di vivere. Così piacesse à chi fece voi così bello, far me così ingegnosa, ch’io sapessi ritrovar


alcun