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Romani Pontefici. Sopra questo dunque aveva fatto collocare con metodica disposizione molte Torce Veneziane di non ordinaria grandezza, le quali illuminando le Stelle, e l’azzurro della Volta facevale scintillare, benchè a luce accattata, come appunto scintillano nel Cielo sul bel sereno della notte.

Sotto la Cupola vidi una grandissima, ma proporzionata lumiera doviziosissima di lumi di cera, che senza iperbole pareva un Sole; ed in fatti illuminava tutta quella spaziosa distanza, che resta sotto il Cornicione, sopra del quale era un gran numero di Torce, le quali facevano non meno lume alle pitture, ed alle Statue de’ nostri Santi Protettori, che l’adornano, che alla parte più subblime della Cupola, tanto che non si perdeva di notte ciò, che s’ammira di giorno.

Tutti gli Apostoli, e gli Angeli di Bronzo erano illuminati da grossi ceri, e l’Altar Maggiore, siccome gli altri, era ornato colla più solenne festiva magnificenza. Era poi infinito il numero de’ piccoli lumi alla Romana, di tal modo, che fin le pitture del coro si godevano in lontananza distintissimamente.

Ed acciocchè liberamente, e senza impedimento all’occhio goder si potesse la nobilissima illuminazione, e maravigliosa architettura del Tempio, fece togliere quelle ricche coltri di broccato d’oro, colle quali s’adorna ne’ giorni più solenni, e dipoi, tolte ancora tutte le Banche, e Sedili, fece sprigionare dalle custodie di legno l’insigne, e tanto celebre Pavimento, il quale ben minutamente distinguevasi al chiarore di tanta luce.

Or mentre stavasi ciò osservando particolarmente da quei pochi Forastieri, che tra il gran numero de concorsi alla Festa, avevano incontrata la sorte di ritrovar-

 
 
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