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I. PUERILI POMPEO. No che il periglio, o prence, di te degno non è; no, che il tuo sangue sparger non dèi d’uno straniero duce i diritti a sostenere; a me commesso sia le guerriere generose squadre condurre a battagliar. La vita, il sangue a Roma io debbo, e potrei dunque allora, che per me pugnan generose schiere, che il destino del Lazio incerto pende, tra il fulminar delle minaci spade, tranquillo star fra queste mura, e il brando cheto mirare al fianco imbelle appeso? Ah! ver non sia! Corro a pugnar, l’infido duce ribelle e altèr di questa destra l’opre vegga, e ne tremi: Ah! se pietoso a’ miei disegni arride il ciel, fatale fia questo giorno all’oppressor tiranno. Tu qui rimani, o re, la vita, il sangue all’Egitto tu dèi: sii d’Alessandria tu difensore, io pugnerò nel campo. Troppo al tuo regno, al popol tuo fatale fora, o signore, il tuo perir. Pompeo estinto cada, e che perciò? fecondo fia di romani il sangue mio. No, meco non perirà la libertà latina; il feroce Caton, Metello il prode, anime eccelse e a libertà sol nate, no, non caddero ancor, del sangue mio essi ritrar sapran vendetta...