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IV. POMPEO IN EGITTO Fausto destin le fide turme attende. Molto a sperar abbiamo. TEOFANE. Ah, taci, amico! questo mio cor non lusingare. Invano tenti quest’alma confortar, del prode egiziano stuol troppo m’è noto il coraggio, il valor; ma qual col fato audacia o forza è a contrastar possente? In cielo è scritto; al dittator romano il Campidoglio ceda e il mondo intero. Egli, sicuro nel favor del fato, ogni periglio sprezza, e in mezzo all’armi si lancia audace ad incontrar la morte, o de’ nemici a trionfare; ei sembra dalle nubi scagliata, orrida, ignita folgore spaventosa. Elmo non havvi, usbergo o scudo, che resister sappia della sua spada alla terribil possa; urta, rovescia ogni suo colpo, atterra, piaga, squarcia, trafigge; in brevi istanti intorno a sé di estinti corpi un monte alzar il vedi ; ognun, che il mira, il guardo ne paventa e Tacciar; fuggon le schiere da un sol cacciate. Eh, qual mai resta or dunque di libertà speranza e di trionfo al vinto stuol, se di spavento e tema cagione è ad ogni schiera il nome solo del fiero dittator? ACHILLA. No, si funesta non fia qual credi di Pompeo la sorte; con speranza miglior conforta, amico, l’abbattuto tuo cor; tra brevi istanti