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IV. POMPEO IN EGITTO 79 68o 685 690 695 700 ei spera invan di Tolomeo sul soglio ascendere e dettar leggi all’Egitto. I suoi disegni secondar per poco fingasi ad arte, e allorché già la destra stenda allo scettro, ei cada, e sull’estinta gelida salma il soglio mio s’innalzi. Cosi dell’armi sue, delle sue frodi io valermi saprò. Ma... dunque... ah! taci troppo vile mio cor; muoia chi puote giovar con la sua morte a’ miei disegni. Amicizia, virtù, diritto e fede, nomi vani per me, né questo cuore suddito a voi non fia: tradirmi invano, alma imbelle, tu vuoi ; ben sa chi nato è ad alte, inusitate, eccelse imprese quei fulmini sprezzar, quei finti numi, che solo di terror son vano oggetto a vili anime imbelli e al volgo ignaro. SCENA SETTIMA Tolomeo e detto. TOLOMEO. È questo, Achilia, il di, che pace a Roma e libertà, che al vinto eroe guerriero e gloria ridonar deve e trionfo. Ornai, mio fido, della dubbia sorte sulle tracce corriam; l’egizie schiere pronte siano a pugnar. Prima che il sole nel profondo oceàn tuffi i destrieri, me forse esso vedrà premere il dorso colle vittrici fulminanti spade al fuggitivo avverso stuol, che scampo di Cesare nel nome indarno spera.