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IV. POMPEO IN EGITTO Alessandria sarà. Vano lo sdegno noi renderem del vinto duce; al prode romano vincitor per noi le porte schiuse saran; fidi custodi, ovunque disposti all’uopo, dell’egizio prence deludere sapran la vigil cura. D’Alessandria signor, sol ch’ei lo brami, sarà fra poco il dittator guerriero. No, che di tanti mali, onde l’Egitto minacciato vegg’io, l’aspetto orrendo sostener non potrei: dunque di tante genti signora, generosa e forte, Alessandria vedrò, città reina, alle spietate edaci fiamme in preda, in cenere ridotta, al suol distesa, abbattuta, distrutta, e in ogni dove fatta albergo d’orror, di lutto e morte? Ah ! tolga il ciel tanto spavento ! E quale danno maggior far ci potrebbe, o numi, il più spietato, il più crudel nemico? Tu vanne, o Fulvio; al tuo signor sian noti di Teodoto i sensi: ei venga, ei regni su questo suolo, e a suo talento imperi su noi, sul mondo e sulle genti tutte. Vivi ei ci serbi sol; questa, sol questa mercé di nostra ubbidienza e fede renda Cesare a noi. FULVIO. Non più; t’intesi, al dittator tutto a far noto io volo. Tra mille schiere egli verrà fra poco de’tuoi fidi in difesa; io parto, amico. Nulla resta a temer. Tranquillo viva ornai l’Egitto: ah! non è già qual credi un tiranno crudel Cesare il prode.