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IV. POMPEO IN EGITTO 73 510 515 520 525 530 535 540 TOLOMEO. Grato a Cesare io son, grato pur anco all’opra tua; sol d’equitade i dritti ognor mi piacque consultar; no, Roma nulla tema da me. Vedrà ben presto l’altèro vincitor, vedrà se in faccia a mille rischi, di sue schiere a fronte sappia temer l’egiziano prence. Di questa spada il balenar fra poco le sue pupille ferirà. No, questo non è de’ Galli il suol, né di Farsaglia. Potrà l’altèro vincitor feroce in Alessandria ritrovare il campo. Tremi il ribelle stuol. Roma, il ripeto, nulla tema da me; sciolta da’ lacci d’infame servitù per me fra poco ella sarà, se pur benigno il fato lieto e propizio a’ miei disegni arride. Vanne... FULVIO. Signor, perdona, ah! questa dunque risposta al dittator recar degg’io? Impaziente egli dall’armi cinto tra mille schiere e mille duci invitti il mio ritorno attende: ah, questo fia della ruina d’Alessandria il segno! Deh! ti commuovi, o re: se nulla apprezzi la tua vita, il tuo sangue, ascolta almeno del popol tuo le meste voci e il pianto. Cedi, o prence, al destino; il vinto duce abbastanza pugnò: dunque non mai l’avida brama di battaglie e sangue paga di esso sarà? Deh! cessi alfine il suo furore insano...