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246 II - VERSI FRAMMENTI E ABBOZZI Vedi quel che la Scrittura dice d’un’apparizione di Dio ad Elia « in spiritu aurae lenis », e quella a Mosé nel roveto ardente senza consumarsi. I nostri padri lo sentivano come a passeggiare a diporto sul vespro, ecc. {Genesi). E parlava loro, e la sua voce usciva dalle rupi e da’ torrenti, ecc. Le nubi, le nebbie, le piante erano abitate dagli angeli, che di tratto in tratto si manifestavano agli occhi umani. Le spelonche, ecc. (Apparizione di san Michele sul Monte Gargano, e quella a Gedeone, ecc.). Ma, cresciute le colpe e l’infelicità degli uomini, tacque la voce viva di Dio, e il suo sembiante si nascose agli occhi nostri, e la terra cessò di sentire i suoi piedi immortali, e la sua conversazione cogli uomini fu troncata. Vedi Catullo nel principio del poema De nuptìis, ecc. Tutto ciò si potrà dire in proposito delle apparizioni ad Abramo, Sodoma, Lot, ecc. E in proposito della vita pastorale de’ patriarchi, considerata specialmente e descritta in quella di Abramo, Isacco, Giacobbe, si farà questa digressione o conversione lirica. Fu certo; fu, e non è sogno, né favola, né invenzione di poeti, né menzogna di storie o di tradizioni, un’età d’oro pel genere umano. Corse agli uomini un aureo secolo, come aurea corre e correrà sempre l’età di tutti gli altri viventi e di tutto il resto della natura. Non già che i fiumi corressero mai di latte, né che, ecc. Vedi la quarta egloga di Virgilio, e la chiusa del prim’atto dell 'Aminta e del quarto del Pastor fido. Ma s’ignorarono le sventure che, ignorate, non sono tali, ecc. ecc. «E tanto è miser l’uom quant’ei si reputa» (Sannazaro). Tale anche oggidì nelle californie selve, e nelle rupi, e fra’ torrenti, ecc., vive una gente ignara del nome di civiltà, e restia (come osservano i viaggiatori) sopra qualunque altra a quella misera corruzione che noi chiamiamo « coltura ». Gente felice, a cui le radici e l’erbe e gli animali, raggiunti col corso e domi non da altro che dal proprio braccio, son cibo, e l’acqua de’ torrenti bevanda, e tetto gli alberi e le spelonche contro le piogge e gli uragani e le tempeste. Dall’alto delle loro montagne contemplano liberamente senza né desidèri né timori la vòlta e l’ampiezza de’ cieli, e l’aperta campagna non ingombra di città né di torri, ecc. Odono senza impedimento il vasto suono de’ fiumi, e l’eco delle valli, e il canto degli uccelli, liberi e scarichi e padroni della terra e dell’aria al par di loro. I loro corpi sono robustissimi. Ignorano i morbi, funesta dote della civiltà. Veggono la morte (o piuttosto le morti), ma non la preveggono. La tempesta li turba per un momento: la fuggono negli antri: la calma, che ritorna, li raccon¬