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i. versi italiani 17

quando Catone dal notturno letto,
con agitato cuor dubbioso e tacito,
inquieto sorge in minacciante aspetto;
     10l’acciaro afferra, quell’acciar funesto
che la sua man rotò, che al fiero esercito
fu de’ nemici un di cotanto infesto.
     Lo snuda a un tratto, e di tai voci il suono,
fuoco spirando da la torva faccia,
15udir ei fa con alto orribil tuono:
     — Roma infelice, sventurata Roma,
dunque il capo piegar dovrai, da un empio,
da un perverso tiranno oppressa e doma?
     Dunque vinta cadrai, dunque il tuo soglio
20calpesterà con fermo piede immobile
d’un ribelle infedele il fiero orgoglio?
     Te, che de’ Galli il popol contumace
sconfigger già potesti e la numidica
intrepida atterrar nazione audace;
     25te, per cui cadde estinto il fier Sannita,
cui nel campo cedé l’altèr Macedone
e dell’assirio re la turba ardita;
     te, che su d’aureo trono, aureo e sublime,
sedesti un di; te dunque i lacci stringono
30ed un giogo servile atterra e opprime?
     E mirarti io potrò sotto l’altèro
scettro, di tua ruina infausto indizio,
il crinito piegar nobil cimiero?
     e la fulminea tua spada raggiante
35e il serto aurato e l’asta e l’armi lucide
sul suol deporre ad un tiranno innante?
     Ah no! Simile orror dagli occhi miei
esser lungi dovrà; tue leggi io venero;
la mia signora, alta città, tu sei.
     40Se cade il tuo poter, cadere insieme
quegli dovrà che a te fedel conservasi
e che di morte il crudo acciar non teme.