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ii. abbozzi e prime stesure 209

Soldati a cavallo. Domandano da bere, frutti, ecc. Gliene dà. — Beati voi, la vostra vita è uno zucchero. La nostra è penosissima. Che fatica è la vostra? Noi sì. Ecco, oggi s’è presa Gerusalemme, e, mentre gli altri stan dentro e fanno chi sa quanto bottino, a noi tocca andare ad esplorare. Ci dispiace ch’è vicino il comandante della nostra squadra in una via poco lontana, dove l’abbiamo da raggiungere, che ci castigherebbe se vi portassimo via di più, quantunque sarebbe tanto ragionevole. Partono. Erminia e gli altri. Qualche trattenimento scambievole.

Erminia. — Fate il vostro ordinario, non voglio servirvi d’impedimento a nulla. — Quindi il canto de’ due fanciulli.

Kempis. Luna viaggiatrice. Beltà in mezzo alla natura, alla campagna. Lepri che saltano fuor dei loro covili nelle selve ecc. e ballano al lume della luna, onde ingannano il cacciatore co’ loro vestigi, e i cani. — Mosco. — Canto degli agricoltori per le ville.

Vecchio. — Cantaci quell’aria forestiera che ora è qui di moda, ovvero che ci fu cantata da colui che passò, ecc. già che sovente

suol più gradire altrui quel ch’è più nuovo.
Già tu per certo, Antiochia, loco
non averai tra le città felici.

La figlia del re che ne sarà fatto? Per quella mi dolgo:

     Oimè quant’era bella! ahi tristi noi!
Erminia piange.
Vecchio
Che avete?
Erminia
Ahi! ahi! ecc.
Molte misere donne in Asia fûro,
ma quanto me nessuna....
O figliuoli miei cari, io voglio a voi
narrar, ecc.