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172 ii. versi frammenti e abbozzi


dameta


     85Ben men sovvengo anch'io: che nel levarmi
quella mattina, oltre l'usato io vidi
trista la mamma. Al mio Filino io tosto
correr voleva: ella il vietò, mi disse
che ancor dormiva, e uscir mi fece al prato.
90Ma, nel tornar con festa e saltellando,
pianger la vidi. Io m'acchetai, pian piano
le venni appresso, e, presale la gonna,
mesto le dimandai perché piangesse.
Ella china abbracciommi, ed appoggiando
95alla mia la sua fronte: — Ah! figlio — disse, —
caro Dameta mio, Filino è morto. —
Allor piansi ancor io. La mamma invano
trattenermi volea: poi ch'ella il guardo
rivolse altrove, al letticciuolo io corsi
100del mio caro Filiti. Fiso dapprima
il rimirai, poi sullo smorto viso
mille baci gli diedi, e colla mano
toccai la fredda guancia, e gli occhi chiusi
di riaprir gli cercai. Deh! quanto io piansi
105in veder come più non si movea!
— Filin! Fratello! — io gli diceva, — oh Dio!
tu non mi vedi più... Che far giammai
potrò senza di te? Quanto t’amava!
quanto m'amavi! Alla selvetta, al prato
110sempre eravamo insieme: oli! quante volte
corremmo a gara, e a gara tra le foglie
cogliemmo i più bei fior! quante sull’erba
la sera assisi al raggio della luna,
cantammo insiemi Tu m'insegnavi il suono
115sopra le canne a modular, che spesso
di tua man m'apprestavi; o a far panieri
per empirli di fiori; o a lanciar sassi
a un albero lontan. Spesso nel bosco