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i. versi e abbozzi 171

cui luccicante lacrima copria:
50ma nulla dir potè, più non dischiuse
il moribondo labbro. Un opportuno
rimedio al male, il vecchio Alcon, quel saggio,
cui si spesso vedesti e cui si spesso
della villa consultano i pastori,
55indicato ci avea. Per procacciarlo,
impaziente alla città mi volsi.
Saliva il sole in cielo e la marina
di lontano splendea; ma la campagna
era tacita ancor. Passai non lungi
60a quell'alto palagio, che alla luna
or vedi biarrcheggiar dietro alle piante,
colà vicino alla maestra via.
Della villa i signori eran sepolti
nel dolce sonno del mattin. Pur vidi
65aperta una finestra, intorno a cui
sporgea ferrea ringhiera, e dentro l'ampia
camera signoril, sul pavimento
e il lucido apparato, che l'opposta
parete ricopria, dal sol dipinta
70l'immagine mirai della finestra:
a cui dinanzi con negletta veste
un dei servi passar vidi, che intento
sulla scopa pendea. Quanto lugubri
per me fùr quei momenti! Alla cittade
75giunsi, tolsi il rimedio e qua tornai.
Fra speme e fra timor, tremante, incerto
entrai sospeso... Morto era Filino.
Pallido il rimirai: finito io vidi
il respirar sulle gelate labbra:
80serrate le palpebre, e rilucenti
pel ghiacciato sudor Tumide chiome.
Ahi mio Filino! Da quel tempo ancora
quel mesto orror, quei funebri momenti,
quel tristo di dimenticar non posso.