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viii. discorsi sacri 143

voglia l'eccesso fatale che sul Calvario si compie. Ma invano. Lo stesso divin Redentore, tutte raccogliendo dalle spossate sue membra le languide forze, all'universo lo annunzia: — Consummatum est!

Io non ho cuor di più dire, e voi sapete che di più egli non disse. Gesù, il Salvator nostro... l'unigenito Figlio di Dio... è già pallido in volto... è col capo chino sul petto... è senza spirito. A questa vista, quasi colpita da folgore, tutta da alto orrore compresa e muta, per poco ristassi la universale natura. Ma già nega la terra di sostener questo eccesso e traballa; s'urtano i monti l'un l'altro e spalancano le loro caverne; restituiscon l'ossa rivestite di carne le tombe e fendono le loro pietre; il mare oltrepassa, mugghiando, i suoi limiti; si divide il velo del tempio, e tutta di tristezza si veste e tutta piange la desolata natura la morte del suo divin Facitore. O Gesù! Già vi conoscono gli esseri insensati e vi piangono: e quandofia che vi conosca l'uom ragionevole e si ravvegga?

Ah! che ancor egli ornai regger non può alla vista di quelle colpe che di si lugubre spettacolo furon cagione. Detestale un dei ladroni che gli sta al fianco; i crocifissori stessi detestanle, che percuotendosi il petto discendon dal monte. «Percutientes pectora sua reverlebantur». Detestiamle noi pure, religiosi signori, ravvisiamo in quel Corpo divino le ferite che le nostre mani vi aprirono, né più sia che incrudelir dobbiamo contro il morto Gesù, né più sia che rinnovar dobbiam le sue piaghe, inasprir le sue pene e squarciare quel petto che arse di tanto amore per noi.