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88 i - versi

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     Un topo, de le membra il piú ben fatto,
venne d’un lago in su la sponda un giorno.
Campato poco innanzi era da un gatto
ch’inseguito l’avea per quel dintorno:
stanco, faceasi a ber, quando un ranocchio,
passando da vicin, gli pose l’occhio:
5
     E fatto innanzi, con parlar cortese:
— Che fai — disse, — che cerchi o forestiero?
di che nome sei tu, di che paese?
onde vieni, ove vai? Narrami il vero:
ché, se buono e leal fia ch’i’ ti veggia,
albergo ti darò nella mia reggia.
6
     Io guida ti sarò; meco verrai
per quest’umido calle al tetto mio:
ivi ospitali egregi doni avrai;
ché Gonfiagote il principe son io;
ho nello stagno autoritá sovrana,
e m’obbedisce e venera ogni rana.
7
     Ché de l’acque la dea mi partoriva,
poscia che un giorno il mio gran padre Limo
le giacque in braccio a l’Eridano in riva.
E tu m’hai del ben nato: a quel ch’io stimo,
qualche rara virtude in te si cela:
però favella, e l’esser tuo mi svela. —
8
     E ’l topo a lui: — Quel che saper tu brami
il san gl’iddii, sallo ogni fèra, ogni uomo.
Ma poi che chiedi pur com’io mi chiami,
dico che Rubabriciole mi nomo:
il padre mio, signor d’anima bella,
cor grande e pronto, Rodipan s’appella.