Pagina:Leopardi - Paralipomeni della Batracomiomachia, Laterza, 1921.djvu/85


75


Dico ch’io t’ho per certo
a seguitar, che s’a la tua non viene
55dietro la vita mia, partir non puote;
né so perché, ma pur mi sembra aperto,
ben che d’amarti il vanto altri sí tiene.
Ch’io dica: — È morta quell’istessa, quella
ch’io veggio e mi favella?
60Or s’ella è morta, ed io come son vivo? —
Questo io so che mai vero
non fia, ch’a intender pure io non l’arrivo.
Fa’ cor, fa’ cor, che senza fallo alcuno,
passato il tempo nero,
65conterem questi affanni ad uno ad uno.

     Misero me, che invano
lusingando me stesso a un tempo e lei,
rinforza il male, e ’l gran dolor s’accosta.
Deh! per pietà, non sia cor sí villano
70che non si mova a sovvenir costei;
deh! troviam qualche via, troviam qualch’arte,
che questa se ne parte,
e s’altri non l’aita, ha poco andare.
Oimè nulla non giova?
75io non so far che ’l creda: io vo’ provare
io stesso, io vo’ vedere. E ’l veggio bene,
sciaurato, per prova
che disperarmi al tutto mi conviene.

     Poveri noi mortali
80che incontro al fato non abbiam valore.
Sta come sconcio masso, e noi ghermito
meglio che può con queste braccia frali,
poniam di sbarbicarlo ogni sudore;
ma quello è tal da poi, qual fu davante.
85Ed io, pregando quante
possanze ha ’l cielo, e tutto foco in faccia,