chiusi quest’occhi, e morto questo volto, 20e ’l popolo raccolto
dirle per sempre addio, ch’esser doveva
tanto tempo fra noi;
or non so chi né come ce la leva:
solo a pensarlo mi si schianta il core, 25ben ch’i parenti tuoi
son d’altro sangue, e tu sei d’altro amore.
Quando de l’infelice
viemmi talun recando aspre novelle,
mi studio quando so farle piú levi: — 30Chi sa? dunqu’esser puote? or chi tel dice? —
Tal patteggiando vo con quello e quelle:
ma d’ogni patto il nunzio si disdegna,
e quanto può s’ingegna
ch’io creda ch’e’ non disse altro che vero, 35e provando mi scaccia
d’ogni rifugio in sin ch’io mi dispero,
e veggio ben che tu ci lasci soli,
e la tua bella faccia
poco può star che sempre a noi s’involi.
40Deh! che mostra, per Dio,
quel sospiroso e languido sembiante
che par che dica: — Io di pietá son degna,
che nacqui sfortunata. — Io ’l so ben io,
tristo me, tristo me; questa di tante 45sventure ch’io sostenni è la piú dura.
Ahi, ahi! ma cosí pura
e cosí vaga, di’, forse che stai
temendo di morire?
Non temer, non temer, che non morrai; 50non può mai far. Non vedi? io pur saria
(che t’ho certo a seguire)
vicino a morte, e son quello di pria.