Morir quand’anco in terra orma non stampo?
né di me lascerò vestigio al mondo
maggior ch’in acqua soffio, in aria lampo? 70Ché non scesi bambin giù nel profondo?
e a che, se tutto di qua suso ir deggio,
fu lo materno sen di me fecondo?
Eterno Dio, per te son nato, il veggio,
che non è per quaggiù lo spirto mio; 75per te son nato e per l’eterno seggio.
Deh! tu rivolgi lo basso desio
inver’lo santo regno, inver’lo porto.
O dolci studi, o care muse, addio.
Addio speranze, addio vago conforto 80del poco víver mio che già trapassa:
itene ad altri pur com’i’ sia morto;
e tu pur, Gloria, addio, che già s’abbassa
mio tenebroso giorno e cade omai,
e mia vita sul mondo ombra non lassa. 85Per te pensoso e muto arsi e sudai,
e te cerca avrei sempre al mondo sola,
pur non t’ebbi quaggiù né t’avrò mai.
Povera cetra mia, già mi t’invola
la man fredda di morte, e tra le dita 90lo suon mi tronca e ’n bocca la parola.
Presto spira tuo suon, presto mia vita:
teco finito ho questo ultimo canto,
e col mio canto è l’opra tua compita.
Or, bianco ’l viso e l’occhio pien di pianto, 95a te mi volgo, o Padre, o Re supremo,
o Creatore, o Servatore, o Santo,
tutto son tuo. Sola speranza, io tremo
e sento ’l cor che batte e sento un gelo
quando penso ch’appressa il punto estremo. 100Deh m’aita a por giù lo mortal velo,
e come fia lo spirto uscito fòre,
nol merto no, ma lo raccogli in cielo.