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40 i - versi

     E nutrí speme pazza e voglia bassa,
locando suo desire in cosa vana,
ed amò ben che, quando giugne, passa.
     Quel vergognoso lá che s’allontana,
35è ’l prence tristo per cui delitto
tant’alta venne la virtú romana.
     Appio è quel lá che cónto a voi fe’ ’l dritto,
pel cui malvagio amore un’altra volta
Roma fu lieta e suo tiranno afflitto.
40Antonio è quel che lamentar s’ascolta,
e di suo fato no, ma par si lagne
sol che sua donna scaltra gli sia tolta.
     Vedi Parisse piú vicin che piagne
Ilio in faville e la reggia diserta
45e morti i frati e serve le campagne
     e d’erba e sassi la cittá coverta:
e fu cagion di tanta doglia amore,
e vedi quel c’ha sí gran piaga aperta.
     È Turno, e per Lavinia è ’l suo dolore,
50per chi di morti fe’ sí gran catasta
quel ch’al Tebro menò le teucre prore.
     Vedi Sanson colá che mal contrasta
a Dalila, e ’l gran re ch’anco si dole
che sapienza contr’amor non basta.
     55Mira quell’alme quivi che van sole
con la faccia scarnata e ’l ciglio basso,
e movon lente e senza far parole.
     Vestali fûro, e sotto flebil sasso
menolle dura legge e crudo foco.
60di per loro a compor lo corpo lasso.
     Vedi quanti ha malconci ’l tristo gioco,
e perduti ha il furor di voglia insana,
che tempo lungo a noverargli è poco.
     Guata quel truce lá ch’a la cristiana
65fede aprí ’l lato, e che nel suol britanno
di giusto sangue fe’ tanta fontana.