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ODAE ADESPOTAE
Lo scopritore dell'Inno a Nettuno, dopo tutti gli altri frammenti rinvenuti nel codice ove lo si contiene, hammi inviato due odi che mi son parute degne d’esser porte ai letterati: e non avendo peculiare annotazione da farvi sopra, m’ha insieme trasmesso la sua letterale interpretazion latina e i suoi emendamenti, perché qui li pubblicassi, sí come fo; mettendo quella accanto il testo greco, e questi a piè delle facce. Le odi sono intere, se non che mancano forse pochi versi nel fine della seconda. M’appaiono assai belle, e di buon grado io le ascriverei ad Anacreonte. Voleva il mio amico che le trasportassi in versi italiani, ed io mi vi sono provato e ne ho tradotto una, e poi mi vi sono riprovato, e finalmente ho cancellato tutto. Colui che disse rima e traduzione non essere compatibili, a miglior dritto avria potuto dirlo di una traduzione di Anacreonte; la quale se non è piú che fedelissima, se non serba un suono, un ordine di parole esattissimamente rispondente a quello del testo, è piombo per oro forbito, puro, lucidissimo. Or come, in tanta difficoltá di trovare e ben collocar le parole, gittar tra queste rime che non siano stiracchiate e che appaiano spontanee? E giá non si soffrirebbe una traduzione italiana delle Odi di Anacreonte senza rime. Ma queste non potranno dunque in verun conto voltarsi nella nostra lingua? Altri potrá farlo, non io: e questo basti; che le mie forze posso io sapere, non le altrui. Per mia parte, sosterrei volentieri togliersi tanto a quelle divine odi con tôr loro la lingua di Anacreonte, che a chi non sa di greco sia possibil cosa conoscere (non dico intendere) Omero, Callimaco e qualche altro, ma Anacreonte non mai. I letterati d’alto ingegno possono, credo, colla loro testimonianza far che io non sia tenuto di scriver qui un trattato che non da altri sarebbe inteso che da loro.