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canto ottavo 203

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     Tale oracolo avuto, alle superne
contrade i passi ritorceva il conte,
scritto portando delle valli inferne
lo spavento negli atti e nella fronte.
Qual di Trofonio giá nelle caverne
agli arcani di Stige e d’Acheronte
ammesso il volgo, in sull’aperta riva
pallido e trasformato indi reddiva.
33
     Presso alla soglia dell’avaro speco
Dedalo ritrovò che l’attendeva,
e poi ch’alquanto ragionando seco
di quel che dentro lá veduto aveva,
riposato si fu sotto quel cieco
vel di nebbia che mai non si solleva,
rassettatesi l’ali in sulla schiena
con lui di novo abbandonò l’arena.
34
     Riviver parve al semivivo, escito
che fu del buio a riveder le stelle.
Era notte, e splendean per l’infinito
oceán le volubili facelle;
leggermente quel mar che non ha lito
sferzavan l’aure fuggitive e snelle,
e s’andava a quel suono accompagnando
il rombo che color facean volando.
35
     Rapido sí che non cedeva al vento,
ver’ Topaia drizzâr subito il volo,
portando l’occhio per seguire intento
i due lumi c’ha sempre il nostro polo.
D’isole sparso il liquido elemento
scoprian passando, e sull’oscuro suolo
volare allocchi e piú d’un pipistrello
che al topo s’accostò come fratello.